Viviamo in tempi complicati, pieni di disorientamento. Gli ideali e le certezze che un tempo ci guidavano sembrano svaniti. Era facile pensare che il peggio dell'umanità fosse alle nostre spalle, relegato ai libri di storia, e invece eccoci qui: tra guerre combattute fisicamente e battaglie economiche ed una sensazione generale di smarrimento.
È in questo contesto che Bauman ci parlava della società liquida, anticipando una realtà che oggi viviamo sulla nostra pelle. Nella società liquida i legami tradizionali, come quelli sociali, culturali e familiari, si sono indeboliti, rendendo le relazioni più fragili e provvisorie. L'incertezza della vita e la flessibilità, divenuta precarietà, sono diventate caratteristiche centrali, portando a una costante necessità di adattamento e a una sensazione di insicurezza perenne. Ma come possiamo comprendere tutto questo? La risposta sta nel pensare sociologicamente. Sì, lo so, detto così può sembrare astratto, ma lasciami spiegare. Pensare sociologicamente significa, innanzitutto, adottare una mentalità aperta, una forma mentis che ci spinga a interrogare ciò che diamo per scontato. È un modo di osservare il mondo che ci aiuta a capire meglio le persone intorno a noi: i loro timori, i loro desideri, le loro difficoltà e persino le loro miserie. Bauman lo scriveva nell’ormai lontanissimo 2003 nel suo libro dallo stesso titolo del metodo suggerito; questo è stato, talaltro uno dei primi testi di Sociologia che l’allora mio professore all’Università ci chiese di leggere.
Questa prospettiva sociologica è anche ciò che guida, oggi, il mio
approccio didattico nei moduli di comunicazione che svolgo nei corsi di formazione nei quali insegno. Pensare sociologicamente mi permette di vedere i fenomeni quotidiani con uno sguardo diverso, di mettere in discussione le certezze e di abbracciare il dubbio come strumento per comprendere – o almeno cercare di comprendere – il mondo che viviamo.
Bauman ha un insegnamento fondamentale: il rispetto per la libertà altrui. Non possiamo pensare che la nostra libertà sia più degna o importante di quella degli altri, ed è solo riconoscendo questo principio che possiamo costruire una convivenza armoniosa.
Pensare sociologicamente ci aiuta proprio in questo: ci permette di vedere e valorizzare le differenze, andando oltre il senso comune e gli stereotipi. E qui viene il difficile. Gli stereotipi sono ovunque. Ci semplificano la vita, ci evitano di pensare troppo, ma allo stesso tempo ci ingabbiano in visioni limitate e spesso errate. Pensa a certi pregiudizi: "Tutti i meridionali sono scansafatiche", "Tutti i rom sono ladri", "Tutti i cinesi praticano le arti marziali", “Tutti i siciliani sono mafiosi” etc... Questi luoghi comuni non solo deformano la realtà, ma creano divisioni e incomprensioni. Perché? Perché semplificando l'immagine degli altri, li riduciamo a caricature che ci impediscono di conoscerli davvero.
Ricordo un episodio significativo durante il mio lavoro come
responsabile di comunità per ragazzi immigrati. Spesso, durante discussioni
anche accese, i ragazzi evitavano di guardarmi negli occhi. Secondo la nostra
prospettiva occidentale, questo comportamento potrebbe essere interpretato come
disinteresse o menefreghismo. Tuttavia, nella cultura di molti paesi africani,
non guardare un genitore, un anziano o un professore negli occhi è un segno di
rispetto, poiché farlo potrebbe essere percepito come una sfida o un gesto
irrispettoso.
Questo esempio dimostra quanto sia importante immergersi
nelle situazioni e comprendere i valori altrui: solo così possiamo evitare
incomprensioni e costruire una comunicazione più efficace.
Un altro caso emblematico riguarda il video di un ragazzo nero
“violento” in classe che circola sui social media. Questo contenuto ha
scatenato migliaia di commenti razzisti e totalmente fuori luogo. È qui che
dobbiamo esercitare il pensiero critico: non prendere per buono tutto ciò che
vediamo. Spesso, i contenuti sui social sono semplificazioni o distorsioni
mirate, create dai mass media per promuovere idee che alcune élite vogliono far
passare.
Ad esempio, la crescente narrativa sul riarmo e sulla
necessità di una guerra in Europa, che fino a poco tempo fa sembrava
impensabile, ora si sta facendo largo tra le popolazioni. Questo avviene grazie
a un bombardamento continuo di notizie e opinioni mirate, che fanno apparire la
guerra come inevitabile e imprescindibile. Sviluppare un pensiero critico è
fondamentale per contrastare queste manipolazioni e per comprendere la
complessità delle situazioni.
Pensare sociologicamente non dico sia facile, anzi. È
destabilizzante, critico, e può perfino suscitare ansia: chi vorrebbe vivere
mettendo continuamente in dubbio ogni cosa? Eppure, è uno strumento potente.
Come dice Bauman, la sociologia ha un legame intrinseco con il senso comune, ma
può aiutarci a superarlo, a vedere il mondo con empatia e a reinterpretare ciò
che ci sembra familiare sotto una luce diversa. E devo ammettere che proprio
questo approccio mi ha salvato; se oggi riesco a condizionare quotidianamente il mio vissuto e aiutare il mio percorso di crescita personale lo devo certamente al
pensare sociologicamente e al conseguente dubbio costante.