mercoledì 5 novembre 2025

La Terra invisibile: tra plasma, cuore e senso

C’è una domanda che sembra semplice e apre abissi: esiste davvero una “Terra invisibile”? 

La risposta richiede due livelli di lettura. Sul piano empirico esiste ed è misurabile: la plasmasfera, un alone di plasma che avvolge la Terra e che gli scienziati osservano con strumenti in estremo ultravioletto e sonde spaziali. Sul piano simbolico, quella stessa struttura può essere narrata come una “altra Terra”, un organismo coerente che pulsa e potrebbe entrare in relazione con il cuore umano. Tenere insieme questi due registri — il dato e il senso — è il modo più onesto per esplorare la domanda.

La plasmasfera: il dato che non si vede ma si misura.

La plasmasfera è un oceano di particelle cariche — ioni ed elettroni a bassa energia — che si estende dall’alta ionosfera fino a decine di migliaia di chilometri. Ha un confine dinamico, la plasmapausa, che si sposta in risposta al vento solare e alle tempeste geomagnetiche. Produce fenomeni osservabili come onde chorus e whistlers, risonanze che i ricercatori “ascoltano” per capire il trasferimento energetico nello spazio vicino alla Terra. La plasmasfera influenza la propagazione delle onde radio, il comportamento dei satelliti e il meteo spaziale: è quindi un elemento reale, tecnico, con misure ripetibili e conseguenze pratiche per le tecnologie orbitanti e le comunicazioni terrestri.

Dal plasma all’immagine: la trasformazione simbolica

Trasformare dati e modelli in immagine è un atto interpretativo. Giuliana Conforto prende il lessico della fisica — plasma, coerenza, frequenze — e vi legge una mappa simbolica: la plasmasfera diventa un “embrione cosmico”, un campo che vibra in armonia, un’area che sembra libera dalle strettoie della materia ordinaria. Parole come “cuore” o “organismo” non sono qui enunciati tecnici ma metafore con cui si cerca di restituire senso all’esperienza umana di vivere in un universo elettromagnetico. Questa narrazione non sostituisce la scienza; la integra come lente per comprendere perché quei fenomeni possano toccare la nostra vita interiore.

Il cuore, l’anima come energia vitale e il passaggio di stato

Nel racconto simbolico il cuore smette di essere solo una pompa e diventa interfaccia elettromagnetica, punto di risonanza con l’ambiente. Se intendiamo l’“anima” non come entità soprannaturale ma come energia vitale — insieme di processi bioelettrici, chimici e informazionali che definiscono l’organizzazione vivente — l’immagine guadagna coerenza. La morte può allora essere pensata come un cambiamento di stato energetico: non una prova scientifica sulla persistenza della coscienza, ma una cornice di senso che rende intelligibile la continuità come trasformazione, non come annichilimento.

Perché non è scontro ma dialogo

La profondità vera si raggiunge mantenendo distinti eppure dialoganti i due piani. La scienza risponde al come — modelli, misure, predizioni —; la visione simbolica cerca il perché: che cosa quel “come” significa per chi vive, ama e muore. Confondere i livelli produce confusione; tenerli separati ma in relazione aumenta la comprensione e l’immaginario. Esistono anche punti pratici di contatto: ricerche su coerenza cardiaca, biofeedback e pratiche contemplative mostrano come rappresentazioni simboliche possano orientare pratiche che poi trovano riscontri fisiologici misurabili.

Limiti, critiche e possibilità di sviluppo

È importante riconoscere limiti e obiezioni. Attribuire intenzionalità o coscienza a una struttura fisica rischia l’antropomorfismo; trasformare metafore in enunciati fisici senza ipotesi testabili è metodologicamente discutibile. D’altro canto, un’apertura interdisciplinare — tra fisica del plasma, neuroscienze, studi religiosi e pratiche contemplative — può generare ipotesi verificabili: per esempio, studi sulla correlazione tra variazioni elettromagnetiche e segnali biologici, o ricerche controllate sugli effetti a breve termine di pratiche di coerenza cardiaca. Solo così la narrazione simbolica può diventare terreno di indagine senza perdere onestà epistemica.

Conclusione

La “Terra invisibile” può essere guardata da due prospettive. Da un lato c’è la plasmasfera, un fenomeno fisico reale, misurabile con strumenti e sonde: un alone di plasma che circonda il nostro pianeta e che la scienza studia con precisione. Dall’altro lato c’è la visione simbolica, che trasforma quella stessa realtà in un’immagine potente: un organismo cosmico che ci invita a ripensare il legame tra corpo, coscienza e universo.

La profondità non sta nello scegliere una sola lettura, ma nel riconoscere che entrambe hanno valore: la scienza ci aiuta a capire come funzionano i processi, la visione simbolica ci suggerisce cosa quei processi possono significare per la nostra vita.

In questo quadro, l’idea dell’anima come energia vitale diventa un ponte interpretativo: ci permette di parlare della continuità della vita senza pretendere prove che la scienza, con gli strumenti attuali, non può offrire. È un linguaggio che unisce rigore e immaginazione, dato e senso, realtà e visione.

lunedì 14 aprile 2025

Pensare sociologicamente: gli insegnamenti di Bauman per una vita nel dubbio.'.

Viviamo in tempi complicati, pieni di disorientamento. Gli ideali e le certezze che un tempo ci guidavano sembrano svaniti. Era facile pensare che il peggio dell'umanità fosse alle nostre spalle, relegato ai libri di storia, e invece eccoci qui: tra guerre combattute fisicamente e battaglie economiche ed una sensazione generale di smarrimento.

È in questo contesto che Bauman ci parlava della società liquida, anticipando una realtà che oggi viviamo sulla nostra pelle. Nella società liquida i legami tradizionali, come quelli sociali, culturali e familiari, si sono indeboliti, rendendo le relazioni più fragili e provvisorie. L'incertezza della vita e la flessibilità, divenuta precarietà, sono diventate caratteristiche centrali, portando a una costante necessità di adattamento e a una sensazione di insicurezza perenne. Ma come possiamo comprendere tutto questo? La risposta sta nel pensare sociologicamente. Sì, lo so, detto così può sembrare astratto, ma lasciami spiegare. Pensare sociologicamente significa, innanzitutto, adottare una mentalità aperta, una forma mentis che ci spinga a interrogare ciò che diamo per scontato. È un modo di osservare il mondo che ci aiuta a capire meglio le persone intorno a noi: i loro timori, i loro desideri, le loro difficoltà e persino le loro miserie. Bauman lo scriveva nell’ormai lontanissimo 2003 nel suo libro dallo stesso titolo del metodo suggerito; questo è stato, talaltro  uno dei primi testi di Sociologia che l’allora mio professore all’Università ci chiese di leggere.

Questa prospettiva sociologica è anche ciò che guida, oggi, il mio


approccio didattico nei moduli di comunicazione che svolgo nei corsi di formazione nei quali insegno. Pensare sociologicamente mi permette di vedere i fenomeni quotidiani con uno sguardo diverso, di mettere in discussione le certezze e di abbracciare il dubbio come strumento per comprendere – o almeno cercare di comprendere – il mondo che viviamo.

Bauman ha un insegnamento fondamentale: il rispetto per la libertà altrui. Non possiamo pensare che la nostra libertà sia più degna o importante di quella degli altri, ed è solo riconoscendo questo principio che possiamo costruire una convivenza armoniosa. 

Pensare sociologicamente ci aiuta proprio in questo: ci permette di vedere e valorizzare le differenze, andando oltre il senso comune e gli stereotipi. E qui viene il difficile. Gli stereotipi sono ovunque. Ci semplificano la vita, ci evitano di pensare troppo, ma allo stesso tempo ci ingabbiano in visioni limitate e spesso errate. Pensa a certi pregiudizi: "Tutti i meridionali sono scansafatiche", "Tutti i rom sono ladri", "Tutti i cinesi praticano le arti marziali", “Tutti i siciliani sono mafiosi” etc... Questi luoghi comuni non solo deformano la realtà, ma creano divisioni e incomprensioni. Perché? Perché semplificando l'immagine degli altri, li riduciamo a caricature che ci impediscono di conoscerli davvero.

Ricordo un episodio significativo durante il mio lavoro come responsabile di comunità per ragazzi immigrati. Spesso, durante discussioni anche accese, i ragazzi evitavano di guardarmi negli occhi. Secondo la nostra prospettiva occidentale, questo comportamento potrebbe essere interpretato come disinteresse o menefreghismo. Tuttavia, nella cultura di molti paesi africani, non guardare un genitore, un anziano o un professore negli occhi è un segno di rispetto, poiché farlo potrebbe essere percepito come una sfida o un gesto irrispettoso.

Questo esempio dimostra quanto sia importante immergersi nelle situazioni e comprendere i valori altrui: solo così possiamo evitare incomprensioni e costruire una comunicazione più efficace.

Un altro caso emblematico riguarda il video di un ragazzo nero “violento” in classe che circola sui social media. Questo contenuto ha scatenato migliaia di commenti razzisti e totalmente fuori luogo. È qui che dobbiamo esercitare il pensiero critico: non prendere per buono tutto ciò che vediamo. Spesso, i contenuti sui social sono semplificazioni o distorsioni mirate, create dai mass media per promuovere idee che alcune élite vogliono far passare.

Ad esempio, la crescente narrativa sul riarmo e sulla necessità di una guerra in Europa, che fino a poco tempo fa sembrava impensabile, ora si sta facendo largo tra le popolazioni. Questo avviene grazie a un bombardamento continuo di notizie e opinioni mirate, che fanno apparire la guerra come inevitabile e imprescindibile. Sviluppare un pensiero critico è fondamentale per contrastare queste manipolazioni e per comprendere la complessità delle situazioni.

Pensare sociologicamente non dico sia facile, anzi. È destabilizzante, critico, e può perfino suscitare ansia: chi vorrebbe vivere mettendo continuamente in dubbio ogni cosa? Eppure, è uno strumento potente. Come dice Bauman, la sociologia ha un legame intrinseco con il senso comune, ma può aiutarci a superarlo, a vedere il mondo con empatia e a reinterpretare ciò che ci sembra familiare sotto una luce diversa. E devo ammettere che proprio questo approccio mi ha salvato; se oggi riesco a condizionare quotidianamente il mio vissuto e aiutare il mio percorso di crescita personale lo devo certamente al pensare sociologicamente e al conseguente dubbio costante.

sabato 12 aprile 2025

Arcane tra esoterismo e magia: Accettare l'imperfezione per trovare l'armonia"

Arcane: League of Legends è una serie animata sviluppata da Riot Games e Fortiche Production, ambientata nell'universo del celebre videogioco League of Legends. La prima stagione, composta da 9 episodi suddivisi in tre atti, è stata trasmessa su Netflix nel novembre 2021. Con uno stile visivo unico che combinava disegni pittorici e animazioni, la serie ha ricevuto elogi per la sua qualità artistica, la profondità della trama e il doppiaggio impeccabile. Nel 2024, la seconda stagione ha ampliato la portata della serie, introducendo temi filosofici ed esoterici, ed io l'ho finita esattamente questa notte. 

Guardare Arcane è stato come immergersi in un caleidoscopio di tensioni, sogni infranti e speranze che si intersecano in un universo profondamente realistico, nonostante la cornice fantasy. La prima stagione, con il suo focus sulle città di Piltover e Zaun, delineava un mondo polarizzato, in qualche modo simile alle ns città, dove ricchezza e il privilegio sfacciato di pochi si ergono sul dolore e la devianza di molti. L'opulenza di Piltover non è solo un simbolo di progresso tecnologico, ma anche una lente che amplifica le disuguaglianze sociali. Zaun, invece, è la manifestazione della resistenza e del caos che nasce dall'emarginazione. È impossibile non sentirsi coinvolti dalle storie individuali che, come Vi e Powder (che diventa Jinx), incarnano il lato umano di questo scontro sociale. Per me palermitano è un po' come rivedere l'eterno conflitto sociale che c0è nella mia città divisa in modo purtroppo definitivo tra centro e periferie, in fondo i temi che vengono discussi a Piltover sono gli stessi di quelli di Via Libertà o del quadrilatero della ZTL mentre quelli di Zaun ricordano maledettamente i problemi giornarnalieri delle periferie dallo Zen a Brancaccio.

L'arco narrativo della prima stagione mi ha posto di fronte a questioni già conosciute, per chi come me ha studiato sociologia, e sono universali: il classismo, l'ascesa dell'elitarismo e il modo in cui malattie fisiche e mentali diventano parte di un sistema di oppressione. Silco, con la sua visione distorta ma profondamente comprensibile di un Zaun indipendente, rappresenta l'eterna lotta per il potere, mentre Viktor ci offre uno sguardo sulla fragilità e sull'ambizione umana. E qui emergono le domande: fino a che punto possiamo spingerci per cercare un equilibrio? Qual è il prezzo dell'aspirazione?

Nella seconda stagione, Arcane però è andata ben oltre, ci invita ad andare oltre i classici schemi sociologici , ampliando la prospettiva con temi esoterici e filosofici che affrontano la la ricerca dell'assoluto, attraverso la magia runica ma che in qualche modo ci ricorda tutte ke ns svariate esperienze esoteriche. la ricerca della verità, la ricerca del bello e del giusto, il ritorno ad un ordine dal caos della moltitudine. Il viaggio come metafora di crescita e la morte come necessaria per una nuova rinascita. La serie ci invita a riflettere su come la magia possa rappresentare il ponte tra il finito e l'infinito, tra il caos e l'ordine. È una forza che può elevare l'umanità verso una comprensione più profonda dell'universo, ma che, se mal gestita, può condurre alla rovina. Questo dualismo esoterico è il cuore pulsante della seconda stagione, che ci pone di fronte a domande fondamentali: fino a che punto possiamo spingerci nella ricerca dell'assoluto? E cosa rischiamo di perdere lungo il cammino?Ma il sistema tecnologico Hextech, che inizialmente rappresenta la promessa di progresso e speranza, si trasforma in un simbolo di potenziale illimitato ma anche di minaccia. Le rune selvatiche e la magia che ne deriva, ricercata per migliorare l'umanità, diventano metafore potenti, suggerendo che il potere e la conoscenza sono strumenti che possono elevare l'umanità, ma anche spezzarla.

La serie ci conduce verso un conflitto esistenziale: ovvero il desiderio di perfezione di per se giusto e necessario per migliorarci  può però portarci all'autodistruzione se non riusciamo a bilanciare il nostro bisogno di crescita con l'accettazione delle nostre imperfezioni.

Ed è proprio qui che la serie brilla con un avvertimento esoterico e filosofico. Arcane esplora l'aspirazione alla perfezione mostrando come essa rischi di trasformarsi in un'illusione distruttiva. Viktor incarna questa tensione: il suo desiderio di trascendere i propri limiti fisici il proprio handicap lo spinge a compiere scelte che lo separano dagli altri e, in un certo senso, da se stesso. Il concetto di perfezione si rivela così una forza capace di alienare, e trasforma la sua autenticità in un'ossessione che lo consuma e con lui tutta l'umanità.

Guardando ogni puntata della serie notavo un invito a una meditazione sull'idea di società perfetta. 

Noi che spesso citiamo la perfezione, come approdo della ns ricerca, dobbiamo sapere che in un mondo completamente "illuminato" e omogeneo, rischieremmo di cadere nella trappola della mente alveare, dove individualità, creatività e conflitti che generano innovazione vengono sacrificati per un'unità sterile. Proprio come accade in Arcane. Tuttavia, Arcane suggerisce un'alternativa attraverso il concetto di "principio uno": dell'amore o dell'armonia che celebra le differenze e le integra in un equilibrio dinamico. La diversità non è una debolezza, ma una ricchezza essenziale, e il confronto con l'altro diventa il fulcro della vera crescita.

In conclusione penso che il cuore pulsante della serie risieda nella celebrazione dell'imperfezione. È l'imperfezione che rende significativa la vita, che alimenta l'arte, la musica e le emozioni autentiche. L'eliminazione del dolore e della vulnerabilità potrebbe privarci di ciò che rende speciale l'esperienza umana. Arcane ci ricorda che proprio nel caos e nella lotta, troviamo ciò che è più prezioso: la bellezza, la libertà e il potenziale che nasce dall'accettazione delle imperfezioni.

Non solo la narrazione e i temi filosofici di Arcane brillano, ma anche la sua estetica visiva è una forza potente. Con i suoi disegni pittorici e animazioni straordinarie, la serie amplifica la profondità della sua storia e ci immerge completamente nel suo universo. Arcane non è solo intrattenimento: è una riflessione sull'essenza stessa dell'umanità. Raro, rarissimo trovare in una serie animata simili concetti e per questo dobbiamo ringraziare quei geni dei suoi creatori. Su Netflix se volete guardarla. è tra le serie più viste. 

lunedì 7 aprile 2025

Dal Caos all'Armonia: Il Simbolismo dell'Uovo Cosmico nell'Era della Fisica Quantistica


Vi siete mai chiesti da dove nascono le tradizioni pasquali? La storia della Pasqua è un viaggio affascinante che attraversa culture, epoche e continenti.

Nel corso degli anni, ho scoperto il profondo significato dell’uovo attraverso i miei studi esoterici. Questo simbolo, che fin da giovane non mi appariva come un semplice elemento, ha rivelato con il tempo la sua natura unica: un custode di misteri universali, un ponte tra spirito e materia, capace di racchiudere in sé il ciclo continuo della vita e della trasformazione. Non è un caso che proprio il giorno dedicato alla festività veda l’uovo come protagonista assoluto. Non solo cioccolato e coniglietti! Preparatevi a scoprire una storia incredibile che intreccia figure come una misteriosa dea germanica, un monaco inglese, un famoso narratore di fiabe, un dio egizio e persino serpenti persiani… un viaggio che abbraccia l’intero universo.

L’uovo è un simbolo universale, celebrato nei miti antichi e nelle tradizioni spirituali. Molti lo associano alla Pasqua cristiana, ma la sua essenza va ben oltre: rappresenta l’origine di tutto, il principio da cui la vita prende forma. Nei culti della fertilità era il simbolo della Grande Madre, dell’abbondanza e della rinascita. Dentro ogni guscio fragile si cela un potenziale infinito, pronto a fiorire. Ad oggi difficilmente riusciamo ad andare più indietro delle civiltà Sumero Accadiche e Babilonesi, il bias post diluvio/deglaciazione ha cancellato tutto. In ogni caso Sumero e Babilonesi vedevano l'uovo come simbolo di creazione e rinascita. 

Ma non sono stati i babilonesi a inventare le uova di Pasqua. Già gli egizi regalavano uova dipinte agli amici in primavera, come augurio di rinascita. E in Persia, durante il Nawruz, il Capodanno persiano che risale a 3000 anni fa, si celebrava la primavera con una tavola imbandita di pietanze le cui iniziali erano le “7 S”, richiamando il numero sacro dello zoroastrismo.

Le origini dell’uovo pasquale risalgono ai riti dell’equinozio di primavera, celebrati da molte culture antiche per onorare il ritorno della luce e della vita dopo il buio dell’inverno. L’uovo e la lepre erano simboli di fertilità e ciclicità della vita già in queste tradizioni. La dea scandinava Eostre (o Ostara), ad esempio, era venerata con lo scambio di uova colorate, simbolo di vita e rinascita. Non a caso, il termine "Easter", con cui la Pasqua è nota in inglese, deriva proprio da questa divinità.

L’uovo assume anche un significato alchemico: gli antichi alchimisti lo vedevano come il recipiente in cui la Materia Prima si trasformava, una metafora della nostra capacità di trasmutare il caos interiore in luce. Il guscio, sottile barriera tra visibile e invisibile, rappresenta il velo tra mondo materiale e spirituale. Romperlo è l’atto simbolico che conduce alla nascita di una verità nascosta e all’emergere della Pietra Filosofale.

Questa visione simbolica trova un sorprendente parallelo nelle teorie moderne di cosmologia: il Big Bang, istante iniziale di espansione dell’universo, richiama l’immagine archetipica dell’uovo cosmico, presente in molte mitologie antiche. Entrambi ci parlano di un’origine unitaria, una creatività esplosiva che trasforma il vuoto in forma, il potenziale in realtà.

In questo senso, l’uovo diventa un ponte tra spiritualità e scienza, tra l’intuizione arcaica dell’interconnessione delle cose e le scoperte della fisica quantistica. Il passaggio dal caos all’ordine, dalla tenebra alla luce, è un tema comune a tutte le tradizioni: cambiano i linguaggi, ma la verità profonda resta la stessa. In un mondo spesso segnato da divisioni e conflitti, l’uovo ci ricorda che siamo frammenti di uno stesso principio.

Infine, l’immagine dell’uovo invita a riflettere sul messaggio di pace e trasformazione. Nelle tradizioni zen e buddiste, come ci insegna Thich Nhat Hanh con il suo “la pace è ogni passo”, ogni gesto e ogni pensiero hanno il potere di cambiare il mondo. Se il Big Bang ha dato inizio all’universo, allora ogni atto di pace e non violenza è un nuovo inizio, un’espansione di quell’energia primordiale che ci unisce.

Così, osservando un semplice uovo, vedo non solo un simbolo cosmico, ma anche un richiamo personale: coltivare la pace interiore e globale, trasformare il caos in armonia, proprio come l’universo si rinnova. E quando aprirete il vostro uovo di Pasqua, attenzione alla sorpresa: potrebbe contenere un intero universo.

lunedì 31 marzo 2025

"Meditazione e attivismo": Il Buddismo socialmente impegnato secondo me.

In molti spesso mi chiedono come faccia da una parte a professare la meditazione ZaZen, ispirata ai principi buddisti, e dall’altra sostenere idee e comportamenti socialmente impegnati, prendendo parte, anche politicamente, a tematiche rilevanti. La domanda nasce spesso dalla percezione comune del Buddismo come una pratica distante, confinata nella contemplazione silenziosa della meditazione o nella vita monastica. Ma per me, non c’è alcuna contraddizione. Come insegnava il maestro Thich Nhat Hanh, il Buddismo non è un rifugio dalla realtà, ma un modo per abbracciarla con consapevolezza e compassione.

Le Radici del Buddismo Socialmente Impegnato

Esiste una forma di Buddismo socialmente impegnato che applica i suoi insegnamenti alle questioni sociali, politiche, ambientali ed economiche. Radicato nei valori della compassione, della saggezza e dell’ahimsa, la nonviolenza, il Buddismo ci insegna che la sofferenza non può essere affrontata solo a livello personale, ma deve coinvolgere anche la società e i sistemi globali. Thich Nhat Hanh, maestro zen vietnamita, ha reso popolare questo approccio durante il secolo scorso. La sua vita ci ispira, mostrando che meditare non significa allontanarsi dai problemi del mondo, ma prepararci a comprendere e affrontare le sfide con consapevolezza e azione.

Per me, interessarmi di politica, dei diritti di chi è emarginato, della lotta contro il razzismo e della promozione della pace, specialmente in un momento storico in cui molti sembrano concentrati sulla guerra, insomma essere di parte è un modo per vivere gli insegnamenti del maestro Thay. La meditazione ZaZen e l’impegno sociale non sono opposti, ma si rafforzano a vicenda. Compassione in azione, consapevolezza e nonviolenza sono strumenti con cui affrontare le sfide della nostra società, portando luce dove ci sono ombre.

Principi Fondamentali del Buddismo Socialmente Impegnato

Interconnessione, compassione in azione, equità, nonviolenza e consapevolezza sono i pilastri che guidano il Buddismo socialmente impegnato. Questi principi ci esortano a riconoscere che la nostra sofferenza è collegata a sistemi più ampi e che, attraverso azioni consapevoli e compassionevoli, possiamo influire positivamente su di essi. Il movimento ci incoraggia a trasformare la crescita spirituale personale in uno strumento per alleviare le sofferenze collettive, promuovendo la giustizia e l’armonia.

Il Buddismo socialmente impegnato è un percorso che ci invita a integrare pienamente la pratica spirituale con l’azione sociale. Non è una fuga dalla realtà, ma un modo per abbracciarla con compassione, consapevolezza e impegno. . 

Thich Nhat Hanh ad esempio durante la guerra del Vietnam lavorava per portare pace e aiuto alle vittime della guerra, fondando scuole, cliniche mediche e iniziative di ricostruzione dei villaggi. In Tailandia c'è un Movimento di eco-Buddismo, diverse comunità buddiste impegnate nella sostenibilità ambientale, come il movimento per la foresta monastica in Thailandia. A livello locale, si può  partecipare a campagne contro il razzismo o organizzare incontri di consapevolezza nelle scuole o nei quartieri. Insomma si potrebbe fare tanto. 

Ogni gesto di giustizia, ogni azione per la pace, è un seme piantato nel terreno del cambiamento. E per me, vivere il Buddismo come insegnato dal maestro Thay significa proprio questo: trasformare la consapevolezza interiore in pensieri e azioni che portano luce e speranza nel mondo, il mio impegno sarà, senza dubbio, solo una goccia nell'immenso mare. Tuttavia, far riflettere i discenti dei miei corsi è come piantare un seme. E tra i tanti semi, forse, qualcuno germoglierà e potrà trasformarsi in un magnifico fiore di loto, simbolo di bellezza e rinascita.

venerdì 28 marzo 2025

Il Dono del Momento Presente: Lezioni dallo Zen

Ci sono parole che risuonano dentro di noi come echi di una verità antica, scomode e luminose allo stesso tempo. Le Cinque Rimembranze sono tra queste. Quando le recito, mi accorgo di quanto la mia mente, così spesso occupata a costruire illusioni di controllo e sicurezza, faccia resistenza. Eppure, è proprio in questa resistenza che si nasconde l’insegnamento.



La pratica delle Cinque Rimembranze è una meditazione zen in sé. Non si tratta di un semplice elenco di verità universali, ma di un processo di trasformazione interiore. Ogni affermazione è una porta che si apre su un abisso, un invito a guardare in faccia la realtà senza paura:

  1. Invecchierò: Non posso sfuggire alla vecchiaia; è parte della mia natura.

  2. Mi ammalerò: Non posso evitare la malattia; è parte della mia natura.

  3. Morirò: Non posso sfuggire alla morte; è parte della mia natura.

  4. Perderò tutto ciò che amo: Tutti gli esseri e le cose che amo sono destinati a trasformarsi e separarsi da me.

  5. Sono l’erede delle mie azioni: Vivo in dipendenza delle mie azioni, buone o cattive, e delle conseguenze che esse portano.

All’inizio, queste parole possono sembrare dure, perfino opprimenti. Ma nel ripeterle, durante la meditazione, qualcosa cambia. L’ansia lascia spazio alla quiete, la paura si scioglie in accettazione. Non è una resa passiva, ma un risveglio alla natura impermanente di tutte le cose. Comprendere l’invecchiamento, la malattia e la morte non significa rassegnarsi, ma vivere pienamente, senza più rimandare ciò che conta davvero.

Le Cinque Rimembranze hanno origini profonde nella tradizione buddista e zen. La loro formulazione si trova nel Sutra delle Contemplazioni del Khuddaka Nikaya, una raccolta di discorsi del Buddha. In questa dottrina, esse sono presentate come un mezzo per coltivare consapevolezza e serenità attraverso la riflessione sulla natura impermanente della vita. Come strumenti di meditazione, queste rimembranze offrono un percorso verso l’accettazione delle verità universali, liberando la mente dall'illusione del controllo.

Come dice Thich Nhat Hanh, celebre maestro zen: "Quando accetti di invecchiare, morire e ammalarti, scopri che la vita diventa più preziosa e viva in ogni istante." Un altro eco di questo insegnamento lo troviamo in Dōgen Zenji, fondatore dello Zen Sōtō: "Studiare il sé è dimenticare il sé. Dimenticare il sé è essere illuminati dalle diecimila cose."

In queste sere sto rileggendo il libro L'Altra Riva del Fiume di Thich Nhat Hanh, e proprio questa lettura ha ispirato tanto tempo fà la mia riflessione e meditazione sulle Cinque Rimembranze. Attraverso le sue parole profonde, si scopre un modo nuovo di stare con la consapevolezza, lasciando che ogni verità universale diventi un invito alla presenza.

Eppure, c'è un monito "profano" che voglio condividere: nella consapevolezza della nostra natura impermanente, diventa evidente quanto sia vano inseguire spasmodicamente il potere, l'acclamazione o il successo ad ogni costo. Ordire trame, tradire e sacrificare la propria integrità per una lotta incessante al dominio è uno spreco del prezioso dono della vita. Alla fine, siamo ciò che siamo: esseri transitori, legati non ai trofei materiali, ma alla qualità delle nostre azioni e alla profondità dei nostri legami. Solo abbracciando questa verità possiamo liberarci dall’illusione che la vita sia una battaglia costante per il potere.

Nel cuore dello zen, la meditazione non è un’astrazione: è un contatto profondo con la realtà così com’è. Le Cinque Rimembranze sono un "koan" vivente, ovvero un enigma zen che sfida il pensiero razionale e invita a una comprensione diretta della realtà. Un richiamo costante a essere presenti, ad abbracciare ogni istante con lucidità e gratitudine. Quando smettiamo di fuggire da queste verità, scopriamo che in esse non c’è sofferenza, ma liberazione.

Riflettere su queste parole è come sedersi in silenzio davanti a uno specchio limpido. Non possiamo sfuggire a ciò che siamo, ma possiamo scegliere come stare con questa consapevolezza. Io scelgo di stare qui, adesso, con la vita che pulsa in ogni istante, sapendo che tutto cambia, e proprio per questo, ogni respiro è un dono prezioso.

giovedì 20 marzo 2025

Ripensare l’Europa: oltre il dogma del Manifesto di Ventotene

Il Manifesto di Ventotene, pur nato con l'ambizione di unire l'Europa in una struttura sovranazionale capace di prevenire nuovi conflitti, ha generato, con il passare dei decenni, alcune conseguenze che meriterebbero una riflessione critica. Inizialmente visto come un modello per superare i nazionalismi e promuovere la cooperazione tra i popoli europei, il progetto si è sempre più trasformato in una macchina di integrazione dominata dalle logiche del capitale finanziario.

Uno degli elementi principali del manifesto, ovvero la centralità di una governance "illuminata" sovranazionale, si è tradotto nel tempo in una struttura economica e politica che privilegia gli interessi delle élite economiche a scapito delle istanze popolari. L'Unione Europea, nata sulle fondamenta di quei principi, ha progressivamente abbracciato un modello neoliberista che ha concentrato ricchezza e potere nelle mani di pochi. La moneta unica, per esempio, pur rappresentando uno strumento di coesione, è stata gestita in modo tale da limitare l'autonomia economica degli Stati membri, rendendoli spesso vulnerabili ai mercati finanziari.

Gli effetti di tutto questo sono tangibili: l’austerità imposta in periodi di crisi ha colpito duramente i settori più vulnerabili della popolazione, alimentando disuguaglianze e frustrazione sociale. I cittadini europei, soprattutto nelle nazioni economicamente più fragili, si sono spesso ritrovati a dover sacrificare il loro benessere in nome della stabilità finanziaria, mentre i grandi gruppi di investimento e le istituzioni bancarie hanno tratto profitti significativi.

Il sogno di un’Europa unita come luogo di solidarietà e pace sembra essere rimasto intrappolato in un sistema che, invece, risponde alle regole del mercato piuttosto che a quelle della democrazia partecipativa. Le popolazioni europee, con le loro straordinarie differenze culturali, linguistiche e storiche, hanno spesso vissuto questa integrazione come una forzatura, più orientata a uniformare che a valorizzare la diversità.

Il risultato è un’Europa che appare distante dai suoi cittadini, percepita più come un insieme di meccanismi burocratici e finanziari che come un progetto comune in cui riconoscersi. Le conseguenze del Manifesto di Ventotene, nonostante le intenzioni dei suoi autori, evidenziano l'urgenza di ridefinire il modello di integrazione, mettendo al centro i popoli, le loro culture e i loro diritti, invece di continuare a privilegiare il capitale.