martedì 3 novembre 2015

Riformicchia RAI e perchè mi aspettavo di più...



Ormai è fatta! La legge “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato“, meglio conosciuta come “Legge di stabilità” 2016 è stata approvata e con essa anche la parte che impone il pagamento del canone TV nella prima bolletta dell’energia elettrica scadente a fine gennaio. E visto che da sempre pago questa odiosa Tassa e che anch'io, come tanti, non vedo la TV di Stato e come a tanti mi saltano i nervi a leggere di compensi stratosferici per "nani e ballerine", ho deciso di approfondire anch'io la questione proponendo anche il mio punto di vista e quello di altri esperti.

Mi piacerebbe una Tv di stato senza pubblicità, senza "frizzi  e lazzi" con programmi educativi, sopratutto per giovani e con inchieste giornalistiche, con programmi divulgativi; insomma una Tv di Stato che abbia come obiettivo non di competere con le Tv commerciali ma di contribuire alla crescita culturale del Paese, la Tv di stato Inglese la BBC, in parte, sarebbe da prendere ad esempio. A una Tv simile sarei onorato di contribuire con una Tassa, specifica e proporzionale, da inserire nella Dichiarazione dei Redditi, proprio perchè chi ha di più possa contribuire di più per la crescita culturale del proprio Paese. Sarebbe nobile ed auspicabile.

Invece ci troviamo ancora legati al pagamento, evaso dai più, di una tassa, oggi patrimoniale, slegata dalla reale gestione della Rai, i soldi che saranno raccolti non andranno a quest'ultima e sopratutto questa, la Rai, continuerà  con produzioni televisive di cui in tanti non sentirebbero la mancanza. Continueremo ad avere una Tv che di culturale offre veramente poco, con una informazione mediata e controllata dal Governo di turno e con scandali continui, ultimo il pagamento di 24.000 euro per la comparsata dell'ex Ministro delle finanze greco Varoufakis. Insomma anche in questo caso la "riformicchia" è tanto per farla e alla fine non cambierà nulla, anzi.  Ma per comprendere meglio il nuovo canone Rai, le possibili situazioni che potrebbero nascere se tutti decidessimo di pagare al fornitore di energia solo la parte del consumo e non la tassa rai e le eventuali difficoltà del Ministero per iniziare una campagna di controlli a domicilio a tappeto, vi invito a leggere questo interessante intervento di Luigi Pecchioli pubblicato su scenari economici.it

"Sia i gestori del servizio elettrico che le associazioni dei consumatori si sono opposte a tale norma “alla greca” (in Grecia la tassa sugli immobili si paga con la bolletta elettrica) che è stata considerata “difficile tecnicamente, per i sistemi di fatturazione, e probabilmente complicata anche dal punto di vista giuridico“, tanto da farla definire da Assoelettrica (l’associazione che riunisce oltre 200 produttori di energia elettrica) “un gran pasticcio“, nella considerazione che con il mercato libero, esistono centinaia di produttori/distributori e che l’utente potrebbe cambiare fornitore anche più volte in un anno, complicando così di molto la possibilità di monitoraggio richiesto dalla legge alle Compagnie elettriche.
Come dicono in tanti e soprattutto le Associazioni dei Consumatori si creeranno delle discriminazioni fra chi è intestatario di utenza elettrica e chi non lo è, pur possedendo un televisore, poiché quest’ultimo “potrebbe”, anzi eluderà l’obbligo del pagamento del canone, non pagando bollette elettriche. Insomma l’unione fra bolletta elettrica e canone non sembra convincere molti né risolvere l’annoso problema.
Ma perché il canone è una tassa?
Il canone TV nasce con il Regio Decreto Legge 21 febbraio 1938 n. 246 “Disciplina degli abbonamenti alle radio-audizioni”, il quale, all’art. 1 dichiara:
Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radio-audizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto.
Nonostante quindi si parli di abbonamento, il canone è una mera imposta di possesso di uno o più apparecchi idonei a ricevere un segnale radiotelevisivo, nel presupposto che tale possesso sia indice di una capacità contributiva particolare. In altre parole si tratta di una micro-imposta patrimoniale.
Decadono pertanto tutti i discorsi relativi alla qualità del servizio radiotelevisivo pubblico che ciclicamente vengono fatti per giustificare il rifiuto di pagare il canone: l’abbonamento TV, pur se finanzia in gran parte la RAI, non è un corrispettivo del servizio pubblico. Ciò naturalmente non toglie che, essendo destinataria del denaro versato dal contribuente, la RAI dovrebbe spenderlo nella maniera migliore, ma la qualità del servizio pubblico rilevante per altri aspetti, non lo è per la legittimità del canone.
Il canone quindi lo si paga perché possedere apparecchi atti alla ricezione del segnale radiotelevisivo è considerato dallo Stato indice di ricchezza tassabile: ma quali apparecchi? L’imposta colpisce la detenzione ed il possesso di apparecchi atti a ricevere il segnale (analogico o digitale) di radiodiffusione dell’antenna radiotelevisiva e non la ricezione di segnale via Internet.
Questo chiarimento è stato effettuato dallo stesso Ministero dello Sviluppo Economico, chiarendo così che i normali PC (non dotati quindi di sintonizzatore TV), i tablet e gli smartphone non rientrano fra gli apparecchi tassabili; all’opposto un apparecchio TV paga l’imposta anche se viene disistallato il sintonizzatore, per utilizzarlo come semplice terminale o per la visione dei DVD.
Chiarito l’ambito applicativo dell’imposta, vediamo ora quali sono state le modifiche apportate al R.D.L. del 1938. La bozza approvata della Legge di stabilità all’art. 12 ha così modificato l’art. 1, aggiungendo il seguente paragrafo al secondo comma:
 La detenzione o l’utilizzo di un apparecchio si presumono altresì nel caso in cui esista una utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica. Allo scopo di superare le presunzioni di cui ai precedenti periodi, a decorrere dall’anno 2016 non è ammessa alcuna dichiarazione diversa da quelle rilasciate ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all’art. 76 del medesimo decreto.
Dopo questo paragrafo è poi stato aggiunto un nuovo terzo comma che recita:
Il canone di abbonamento è, in ogni caso, dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi di cui al primo comma detenuti o utilizzati, nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora, dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica, come individuata dall’art. 4 del D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223
Al di là dei tecnicismi il principio espresso nella prima parte è chiaro: chiunque ha nella propria residenza un’utenza elettrica è tenuto ha pagare il canone, poiché si presume che possieda o utilizzi un apparecchio radiotelevisivo. Se andiamo però ad approfondire vediamo che qualche problema sorge e non da poco. Innanzitutto la base imponibile, ovvero il fatto materiale che è il presupposto della tassazione, non è più la stessa: nel R.D. del 1938 era solo la detenzione, quindi il possesso, nella Legge di stabilità diventa anche il mero utilizzo. Anche quindi chi non è proprietario/possessore di un televisore, ma utilizza quello di proprietà di un altro soggetto è tassato, se intestatario di fornitura elettrica. La ragione è semplice: lo Stato presuppone che all’interno di un’abitazione viva un nucleo familiare e che quindi vi sia almeno un televisore. Stabilirne di chi è la proprietà è irrilevante e soprattutto è irrilevante che coincidano l’intestatario della bolletta elettrica ed il proprietario del televisore. La tassa, come spiega il terzo comma aggiunto, è comunque dovuta una volta sola (anche se gli apparecchi quindi sono più di uno) e vale per tutti gli appartenenti al nucleo familiare. Naturalmente il Legislatore non si pone il problema che esistono numerosi nuclei abitativi non familiari, come studenti fuori sede, colleghi di lavoro, affittuari non intestatari di utenze, ecc. che complicano questo ragionamento e che daranno luogo sicuramente a contestazioni e ricorsi.
Altro punto controverso è dato dalla dichiarazione che deve essere resa per superare la presunzione di possesso/utilizzo. Il Legislatore, per far vedere che non scherza, ha ricondotto tale dichiarazione a quella che viene effettuata in sostituzione delle certificazioni e che è sorretta da una norma penale ad hoc che punisce le autocertificazioni e gli atti sostitutivi di atti notori resi falsamente: questo è il richiamo al D.P.R. 445/2000 ed al suo articolo 76. Ma per rendere effettiva la norma le dichiarazioni dovranno essere controllate e vi è un solo modo per poterle controllare: l’ispezione domiciliare. Ora vi renderete conto che per compiere centinaia se non migliaia di ispezioni (a meno che non vi si rinunci o si proceda a campione, cose che depotenzierebbero di molto l’efficacia della norma sanzionatoria) ci sarebbe bisogno di un organico di molto superiore a quello disponibile dall’amministrazione tributaria. Non solo. L’ispezione domiciliare è un provvedimento molto grave poiché incide su un diritto inviolabile costituzionalmente garantito, come appunto il domicilio, e potrebbero sorgere ricorsi riguardanti la sua tutela e la valutazione della effettiva preponderanza dell’interesse alla riscossione fiscale (art. 53 Cost.) su quello per lo meno di pari grado se non superiore relativo all’inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.). Auguri…
Un ultimo problema che merita un accenno mostra ancor di più l’imbarazzante pressappochismo di questa norma ed il suo valore meramente propagandistico: cosa accade se il contribuente non paga il canone? Poiché la riscossione deve essere curata dal gestore del servizio elettrico, come impone il  punto 4 dell’art. 12 della bozza di legge, il quale prevede anche una sanzione in caso di non segnalazione della morosità o mancato versamento, pari a tre volte l’imposta, questi dovrebbe considerare inadempiente l’utente e procedere con avvisi e successivamente, dopo il preavviso col distacco dell’utenza (è questa fondamentalmente la ragione dell’abbinamento canone-elettricità). Ma c’è un problema. Se l’utente ha pagato regolarmente la quota del servizio nella bolletta dove gli è stato addebitato anche il canone il distacco dell’elettricità sarebbe un reato ed esattamente interruzione di pubblico servizio, punito dall’art. 340 del Codice Penale. Quindi la Compagnia elettrica non può procedere in caso di mancato pagamento solo del canone ad alcuna azione, ma si deve limitare a segnalare il fatto all’Ente impositore per il recupero, così vanificando la deterrenza.
Da questa pur breve analisi si può dedurre che, se, come sembra, sono ormai decisi a mettere il canone in bolletta, si troveranno ad affrontare questioni e ricorsi che impegneranno l’Amministrazione anche economicamente e che avranno bisogno di molto più personale di quanto siano disposti a tenere, dovendo quindi scegliere fra sostanziale impunità dell’evasione del canone o aumento di costi per la sua riscossione che potrebbero vanificare i ricavi attesi. Insomma un vero pasticcio “all’italiana” sulla pelle degli italiani.

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