Qualche
giorno fa è stato pubblicato il rapporto del Censis dal titolo "Salvare il Sociale".
Il
rapporto fotografa lo stato delle politiche sociali in Italia e la fotografia,
purtroppo, continua ad essere in bianco e nero. Infatti le risorse dello Stato
per il sociale si continuano a ridurre, anzi, sono proprio in “picchiata"
e nella assenza quasi totale dello Stato,
a presidiare il settore, sono rimaste unicamente le organizzazioni del
terzo settore. Come dice il Presidente del Censis De Rita: "Oggi il sociale si destruttura e la spesa
diventa sempre più meschina".
Di
fatto in Italia stiamo assistendo all'esplosione di una specie di sussidiarietà
di massa per coprire i bisogni sociali non più garantiti dallo Stato, bisogni
che, in assenza di questo, sono garantiti dalle famiglie e dalla spesa privata
che aumenta in maniera incredibile: "aumenta
l'impegno familiare ed aumentano le spese". In questo quadro
allarmante c'è anche una continua e maggiore richiesta di servizi ai Comuni a
cui gli stessi non possono fare fronte costretti, anche loro, nei limiti dei
loro disastrosi bilanci; resta, pertanto,
come ultima sponda il privato sociale.
I
dati del Censis parlano chiaro, le azioni degli ultimi Governi italiani, che
ricordiamo essere dettate dalla troika Europea e basate sostanzialmente sulla
riduzione dei diritti sociali hanno fatto si che i due Fondi, quello per le
Politiche sociali e quello per l'autosufficienza, hanno visto un rilevante
ridimensionamento; il primo da 1,6 miliardi di euro nel 2007, è sceso
a soli 43 milioni nel 2012 per recuperare in parte a 297 milioni nel
2014, cifra ridicola a fronte delle reali necessità. Va anche peggio al secondo
fondo, quello sulla non autosufficienza, che nel 2010 prevedeva 400 milioni,
azzerato completamente nel 2012 dal Governo Monti, per risalire a 350
nell'ultimo anno con Renzi.
In
questo quadro disastroso il Censis rileva anche un dato che noi conosciamo benissimo e cioè che continua
ad esserci una sperequazione evidente tra Nord e Sud Italia. Se in un Comune
del nord la spesa sociale è mediamente di 159 euro pro-capite con punte di 282
euro per abitante nella provincia di Trento, al Sud scendiamo alle punte minime
di 25/30 euro per abitante della Calabria e Sicilia. Il punto è che questa
spesa sociale ridottissima si perde altresì in tanti rivoli che non riescono,
nemmeno lontanamente, ad incidere sul problema. È sotto i ns occhi ogni giorno
la fila di persone che presso gli uffici comunali richiedono interventi
sociali, comunque ininfluenti: il buono casa, l'assegno per i nuovi nati, il
contributo luce e gas, tutte misure che si perdono nel mare delle innumerevoli
richieste e che di fatto incidono poco rispetto le reali esigenze delle
famiglie; basterebbe un esempio dell’inutilità di questi singoli interventi, il
caso del Comune Palermo che ha distribuito alle circa 6.000 famiglie che ne
avevano fatto richiesta un contributo affitto pari a 35 euro annui o come
dimenticare il bonus luce e gas che riescono a malapena a coprire una singola
bolletta. A farsi carico di questa situazione drammatica purtroppo non è più lo
Stato anzi quest'ultimo, con le scelte derivanti dalle politiche economiche
neoliberiste, ha prodotto nuove
situazioni di emergenza, pensiamo ad esempio a quei soggetti che hanno perso il
lavoro e che, lontanissimi dalla pensione, diventano “dipendenti” dalle
attività caritatevoli.
I
dati, ad esempio, su cui la Sicilia sta mettendo a punto una azione di
contrasto mostrano che quasi un milione di persone si trovano in
condizioni di povertà assoluta. Segnale questo che la crisi, con la perdita di
posti di lavoro, ha colpito la Sicilia in modo drammatico se poi pensiamo che i
disoccupati sono molti di più: un milione e 49 mila, comprendiamo l'ampiezza
del problema.
Su
questo capitolo la Regione Sicilia ha destinato circa 6 milioni di euro per
progetti rivolti a persone: senza fissa dimora, in condizioni di solitudine,
povertà, e grave emarginazione; nuclei familiari in situazione di marginalità
sociale, immigrati residenti in Sicilia e in condizione di fragilità sociale.
Ad ottenere i fondi sono state associazioni
di promozione sociale, fondazioni, cooperative sociali ed enti ecclesiastici,
queste potranno fornire pasti e vestiti, libri e attrezzature per la
casa, servizi per l’igiene e assistenza alle persone. E' un passo avanti, ma abbiamo paura che da un
lato sia troppo poco e che dall'altro la frammentarietà degli enti gestori e
dei progetti possa favorire ancora una volta i "professionisti del
sociale".
In
questo desolante panorama, soprattutto nel Sud persiste, fortunatamente, la
figura del care giver, delle famiglie che sono chiamate sempre più ad un ruolo
fondamentale di supplenza, in mancanza dello Stato. Pensiamo ad esempio quanto
sia residuale ormai la quota di disabili
gravi che riceve aiuto dal soggetto pubblico o privato sociale, pagato da
pubblico. Le famiglie fanno da sé, chi
può tramite il fenomeno delle "badanti", in nessuna parte d’Europa cosi esteso come in
Italia, o direttamente quando in famiglia non c'ê neppure questa disponibilità
economica.
In
questo quadro sconfortante rientra la necessita di una nuova Legge sul Terzo
settore, che purtroppo è arenata in Senato, una Legge di riordino necessaria
che chiarisca bene i compiti di questo variegato mondo, che ne riconosca il
valore e al contempo ne preveda rigidi controlli affinché non diventi preda di
arrampicatori politici o malfattori del sociale. Sono continue le denunce ormai
in tutta Italia, sono quotidiani gli scandali,
dalle cooperative che lucrano sui
Centri per l'accoglienza, a quelle “associazioni” che lucrano sulla gestione
dei banchi alimentari , quasi sempre in mano a politici locali senza scrupoli
che acquisiscono cosi potenziali pacchetti di voti per rivenderli alla prima
occasione. E laddove le cose sembrano funzionare, basta un approfondimento, per
scoprire nuovi scandali, ultimo esempio le Associazioni Onlus che gestiscono
milioni di euro e che non presentano veri e propri bilanci e non sono soggette
agli stessi controlli delle aziende private; è il caso, ad esempio, dell'Aias
di Palermo una Onlus che gestisce più di 5 milioni di euro annui di prestazioni
pubbliche nel campo dell'assistenza ai disabili
e che veniva amministrata da un Presidente che, leggiamo dai giornali, presentava
rimborsi chilometrici per 200 mila euro annui.
È
concepibile una Onlus, Organizzazione non lucrativa di utilità sociale, un
organismo di volontariato che gestisce appalti e cifre cosi alti? Noi crediamo
di no e per questo riteniamo che una nuova Legge sul Terso settore sia urgente.
Restiamo
convinti che il reddito di cittadinanza sia la risposta migliore, elimina tutti
questi rivoli di intervento e si controlla di più e meglio la spesa sociale ma per fare ciò è necessario cambiare
paradigma, bisogna che un Governo
"illuminato" , cambi e rilanci
la spesa sociale, soprattutto al Sud.
Al
contempo crediamo necessario ricostruire un tessuto comunitario, delle reti locali,
con l'aiuto del Terzo settore, rinnovato e rinformato, dando vita ad esempio a
Fondazioni di Comunità, di quartiere e/o di Circoscrizione che possano
conoscere, gestire e controllare tutti gli interventi.
Queste
sono le premesse necessarie affinché ci
sia nel ns Paese una ricostruzione di un welfare efficace ed efficiente, soprattutto al Sud, un welfare che crei
(posti asilo, scuola, formazione, che dia assistenza domiciliare, centri
educativi) e che potrà consentire di preparare il terreno per un rilancio
dell'economia e della politica. Insomma bisogna ripartire dagli ultimi, dal
sociale per ricostruire l’Italia.
Assodato
che è finita “l'ubriacatura della rottamazione",
che ha continuato a porre in essere le
stesse politiche neoliberiste imposte dai tecnocrati europei; è arrivato il
momento per pensare a ricostruire.
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