sabato 12 settembre 2015

Affaire beni confiscati, le coperture arrivano anche da Roma?


Si apre uno squarcio nel velo che ricopre questo "affaire" di fine estate, le coperture agli attori protagonisti arrivano direttamente anche da Roma; mentre i Tg annunciano che nell'indagine di corruzione e abuso nella gestione dei beni confiscati oltre che un componente del CSM ci sarebbero altri giudici palermitani, per incarichi e consulenze elargite a parenti e amici; mentre una parte della Palermo "bene" trema all'idea di svegliarsi non con il consueto caffè ma i finanzieri alla porta di casa, noi continuiamo a farci una domanda: visto l'entita del "affare" e visto che siamo arrivati gia al CSM: Chi ai massimi livelli proteggeva questo "sistema" ? in quali stanze di compensazione lobbyste e "segrete" avvenivano questi accordi? il tentativo di "golpe" che solo due mesi fà ha rischiato la Presidenza della Regione Sicilia c'entra nulla, con questo giro? Possibile immaginare che dietro tutto questo ci siano solo gli attuali "protagonisti" ? Ripensando a questo e al silenzio di molti "parvenue" dell'antimafia, molti dei quali in questi anni hanno costruito carriere politiche ed anche imprenditoriali,  ho ricordato queste parole di Saverio Lodato che possono condividersi o meno ma che fanno certamente riflettere.

Dicevamo prima: ma di quale “antimafia” stiamo parlando? Ecco, appunto.
Dell’”antimafia” che trova le porte spalancate a Palazzo Chigi, a Palazzo Madama, al Quirinale o in Vaticano?
O stiamo parlando di un‘altra “antimafia”?
Di un'”antimafia” minuscola, piccola piccola, quella che non compare nei tg, nelle prime pagine dei quotidiani, nelle rappresentazioni epiche del regime?
E’ stata fatta un’operazione sporca.
E cercheremo adesso di spiegarla in due parole.
E’ accaduto che in questi 23 anni di anniversari, anno dopo anno, su un piatto della bilancia veniva scaraventato il peso del passato, sotto forma di enfasi, di cerimonia, di retorica pomposa.
Il piatto del presente, dell’attualità, invece, restava vuoto.
Questo era il trucco, questo era il giochetto.
Un sottilissimo bisturi invisibile recideva così, per mano di istituzione, il filo fra passato e presente, fra il c’era una volta e il “qui e ora”.
Una cosa, insomma, era Falcone, una cosa sono le mafie romane.
Una cosa sono gli inquisiti per mafia, che non risparmiano più nessuna regione e nessun capoluogo di provincia e nessun partito, una cosa sono i “mafiosi” battezzati come tali da Falcone trent’anni fa.
Una cosa sono “quelli” di allora, una cosa sono “quelli” di oggi (Nino Di Matteo docet!).
Non facciamola troppo lunga.
In Italia, la mafia oggi c’è. Ce ne sono tante.
E che ci sia (e che ci siano), lo sanno in tutto il mondo.
Ma noi, che siamo un Paese di guitti, il 23 maggio e il 19 luglio facciamo finta di commemorare ciò che accadde. E ci diciamo “antimafiosi”.
Che in molti si siano stancati, è fisiologico.

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